Storie di confine tra Friuli e Slovenia: riflessioni su conflitti, memorie e speranze di pace nel nuovo libro di Capuozzo
Il libro “Vite di confine”, di Toni Capuozzo, affronta con uno sguardo diretto e senza sconti la complessa realtà che attraversa il confine tra Friuli Venezia Giulia, Slovenia e territori limitrofi. Queste terre, segnate da eventi storici dolorosi, diventano lo scenario per storie umane che rivelano ferite comuni e colpe diffuse tra i popoli coinvolti. Capuozzo racconta con precisione e rispetto quanto accaduto, stimolando una riflessione sulla memoria dei conflitti e la possibilità di una futura convivenza pacifica.
Il confine come luogo di dolore condiviso e colpe incrociate
Nel libro, l’autore descrive il confine non solo come linea geografica ma come spazio dove si intrecciano vicende di sofferenza provocata da tutte le parti. Friulani, giuliani, sloveni, così come russi, israeliani e palestinesi, si ritrovano in questa narrazione, accomunati dal fatto di aver inflitto e subito danni a vicenda. Capuozzo sottolinea che nessuno, da nessun lato, si trova al di sopra delle responsabilità, affermando: “Non c’è qualcuno che non abbia colpe”. Questa lucidità è indispensabile per guardare alla storia senza falsi eroi o vittime unilaterali.
La sua intenzione è di offrire una panoramica che non nasconde le ombre, raccontando anche le parti più difficili e oscure della storia di queste popolazioni. Il libro si fa allora specchio delle divisioni, delle violenze ma anche del dolore autentico che attraversa chi vive ai margini di quel confine. Questa scelta di narrazione senza reticenze si traduce in una testimonianza diretta che sfida le memorie consolidate e invita all’onestà riguardo al passato.
Tra Piave e Isonzo: simboli diversi e visioni alternative della memoria
Capuozzo mette a confronto due realtà emblematiche del territorio italiano, legate a fiumi simbolo della storia nazionale e europea. Attraversare il Piave, considerato “fiume sacro della patria”, evoca un senso di vittoria e rivincita nazionale, riferimento imprescindibile nella memoria italiana della Prima guerra mondiale. Di contro, l’Isonzo, altro fiume di confine, reca la targa “fiume sacro ai popoli europei”, una dicitura che richiama un messaggio più ampio e di apertura verso l’altro, radicando il valore del territorio nella pluralità delle comunità che abitano il contesto europeo.
Questa distinzione evidenzia come il ricordo e il valore attribuito a luoghi simili possano cambiare radicalmente in base allo sguardo e alla storia che si racconta. La riflessione di Capuozzo incoraggia una lettura più ampia di quei territori, meno centrata sulle singole nazioni e più attenta alle esperienze condivise, anche dolorose, dei popoli che vi si affacciano.
La diffusione del libro oltre il territorio friulano e le radici comuni
Un dato interessante emerso durante la presentazione del volume a Pordenone riguarda la diffusione del libro fuori dal Friuli Venezia Giulia, segno di un interesse presente anche in zone lontane come il Sud Italia. Capuozzo ha sottolineato di aver venduto decine di copie nella provincia di Napoli, in particolare a Ottaviano, una città molto distante dal confine di cui parla.
Questa curiosità può essere spiegata dalla presenza di persone che hanno vissuto esperienze legate a quei luoghi tramite il servizio militare o altre esperienze personali. In varie parti d’Italia, infatti, esistono legami diretti o indiretti con il territorio e la sua storia, che creano un filo invisibile tra comunità distanti geograficamente ma vicine per esperienza vissuta o memoria familiare. Questo aspetto dimostra quanto la narrazione di storie locali o di confine possa trovare spazio anche in contesti lontani, se raccontata con sincerità e attenzione ai dettagli umani.
L’appello a riconoscere il passato doloroso per costruire rispetto reciproco
Capuozzo spinge per un esercizio di memoria che vada oltre la semplice celebrazione o negazione dei fatti. Propone di riconoscere le proprie responsabilità nella violenza del passato come passo necessario per sviluppare una forma di memoria rispettosa del dolore degli altri. Per l’autore, accettare il proprio “capitolo nero” è un modo per avvicinarsi a una memoria che non necessariamente deve essere condivisa in modo uniforme ma almeno deve fondarsi sul rispetto.
In aree di confine come quelle descritte nel libro, questo processo appare cruciale per riuscire a immaginare una possibile pace o convivenza nel futuro. La memoria non deve restare terreno di divisioni ma occasione per comprendere e riconoscere le ferite altrui. Queste parole assumono valore profondo nel contesto storico e culturale di un territorio dove le identità e le storie si sono spesso scontrate.
