Vertice in Alaska, Trump apre al dialogo con Putin: l’ipotesi scambio di territori agita l’Europa
Washington e Mosca si preparano a un passaggio che può cambiare gli equilibri del conflitto. Donald Trump ha confermato l’intenzione di incontrare Vladimir Putin in Alaska con l’obiettivo dichiarato di “trovare una via d’uscita” alla guerra in Ucraina. Il presidente americano parla di confronto “costruttivo” e promette consultazioni rapide con partner europei e ucraini subito dopo il faccia a faccia con il Cremlino, lasciando però Volodymyr Zelensky ai margini del primo round. La possibilità di un secondo appuntamento — bilaterale o a tre — resta aperta, ma non è parte del calendario immediato. Sullo sfondo, una prospettiva che fa tremare le capitali europee: “scambio di territori”, ipotesi che Trump attribuisce a mosse e segnali provenienti dalla Russia e che Zelensky respinge con fermezza.
Un summit che può ridisegnare il conflitto
L’incontro in Alaska viene presentato dalla Casa Bianca come un tentativo di spezzare lo stallo sul fronte. Trump, convinto che la leva personale con Putin possa aprire spiragli, ha ventilato un percorso in due tempi: prima il confronto diretto con Mosca, poi il coinvolgimento degli alleati e di Kiev. Nelle sue parole appare il riferimento a una possibile ridefinizione territoriale, concetto che, se trasformato in proposta, avrebbe implicazioni immediate sul diritto internazionale e sugli accordi di sicurezza europei.
Per Zelensky, la linea resta invalicabile: nessun premio all’aggressione, nessuna cessione di territori come pedaggio per la pace. I missili che continuano a colpire infrastrutture e aree civili vengono portati a prova che la Russia non stia mostrando segnali credibili di de-escalation. L’Ucraina, dice il presidente, “tiene le posizioni”, investe su difesa aerea e contromisure, e chiede all’Occidente di non indebolire la pressione diplomatica e militare.
Le capitali europee si muovono all’unisono
La prospettiva di un tavolo che parta senza Kiev ha acceso allarmi a Parigi, Londra e Berlino. Emmanuel Macron, Keir Starmer e Friedrich Merz hanno promosso una videoconferenza della cosiddetta coalizione dei Volenterosi per costruire una linea comune in vista del vertice. Il messaggio è netto: l’Europa vuole esserci e non avallare percorsi che aggirino il principio cardine della sicurezza continentale, cioè l’intangibilità dei confini.
Dal fronte Ue arriva anche la voce del vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, che richiama i partner a un fronte coeso. L’Unione, sottolinea, deve evitare l’errore di subire il processo decisionale: serve un coordinamento stretto con Washington e una presenza formale in ogni fase del negoziato. Allo stesso tavolo, i ministri europei riconoscono che l’apertura americana può creare finestre diplomatiche, ma solo un mandato condiviso può blindare l’esito e prevenire fratture interne al blocco.

La linea di Kiev: “pace sì, ma non al prezzo della sovranità”
Da Kiev, Zelensky ribadisce che la “pace autentica” non può nascere da concessioni unilaterali. Nei suoi messaggi pubblici sottolinea come le offensive russe non si siano interrotte e come ogni arretramento ucraino finirebbe per allungare il conflitto, non per fermarlo. In parallelo, si muove sul versante arabo con una telefonata al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, segnale che la diplomazia ucraina tenta di allargare l’asse dei sostenitori oltre l’Atlantico e l’Unione Europea.
Dalla Polonia arriva un sostegno senza ambiguità. Il premier Donald Tusk mette in guardia dal normalizzare l’idea di cambiare i confini con la forza e chiede che Kiev sia parte di ogni discussione. Il vicepremier e ministro della Difesa Wladyslaw Kosiniak-Kamysz spinge persino per la presenza di Zelensky al vertice in Alaska e offre un supporto logistico a eventuali missioni di peacekeeping, chiarendo però che Varsavia non intende esporre truppe oltreconfine.
Verso venerdì: inclusione di Zelensky e ruolo dei partner
In avvicinamento al faccia a faccia, le diplomazie moltiplicano contatti e video-riunioni. Fonti tedesche indicano che il cancelliere Merz intende dialogare nelle prossime ore con Trump, Zelensky e altri leader europei per non farsi trovare impreparati. Matthew Whitaker, rappresentante Usa presso la Nato, lascia aperta la possibilità che il presidente ucraino venga invitato all’ultimo. Nel frattempo, il lavoro dei consiglieri per la sicurezza nazionale — con il coinvolgimento del vicepresidente americano J.D. Vance — prova a definire cornici minime condivise, così da evitare che l’Alaska diventi solo un teatro mediatico senza follow-up operativo.
In gioco non c’è solo la timeline del conflitto, ma la credibilità degli impegni assunti con l’Ucraina: strumenti finanziari, munizionamento, sostegno alla difesa aerea, addestramento e ricostruzione. Ogni formula che preveda scambi territoriali dovrebbe misurarsi con questi dossier, oltre che con la sicurezza energetica e alimentare del continente.
Cosa significa “scambio di territori” per l’Europa
L’ipotesi di ridefinizione dei confini tocca il nervo scoperto della sicurezza europea. Accettare una logica transazionale sul territorio rischia di creare un precedente pericoloso e di indebolire i trattati che sorreggono l’ordine in Europa. Per questo, tra Bruxelles, Parigi, Roma e Varsavia cresce l’idea che ogni soluzione debba essere verificabile, sostenuta da garanzie di sicurezza multilivello e da un meccanismo di monitoraggio credibile.
La lezione degli ultimi anni è chiara: senza dissuasione, trasparenza e unità politica, ogni cessate il fuoco rischia di diventare solo una pausa tra due fasi del conflitto. L’Ue punta quindi a una partecipazione strutturale al processo, non solo alla foto di rito, e a un percorso che metta Kiev nella posizione di negoziare da pari, non da destinataria passiva di intese decise altrove.
La pace non è un evento, è un’architettura
Il possibile vertice in Alaska non è un punto di arrivo, ma l’inizio di una architettura di sicurezza che va costruita pezzo per pezzo. La postura di Trump — dialogo diretto con Putin, consultazioni a seguire con l’Europa e con Zelensky — apre un varco, ma il contenuto di quel varco determinerà la direzione dei prossimi anni.
Se il negoziato assorbisse la narrativa dello “scambio di territori”, verrebbe lanciato un segnale ambiguo: che la forza paga, e che i confini possono essere moneta. Una scelta del genere non eliminerebbe le cause del conflitto, le sposterebbe più avanti, lasciando aperta la porta ad altre revisioni e ad altre crisi.
Se invece dal tavolo uscisse un percorso che riconosce sovranità, sicurezza e garanzie a lungo termine, con Kiev pienamente coinvolta, allora l’Alaska potrebbe diventare il primo mattone di una pace robusta. Per arrivarci, servono tre elementi: unità occidentale senza strappi, coinvolgimento diretto dell’Ucraina in ogni fase, e un quadro di verifiche internazionali che renda misurabile ogni impegno, dal ritiro delle forze alla protezione delle popolazioni civili.
Le prossime ore diranno se l’Europa — da Macron a Tajani, da Tusk a Merz — riuscirà a entrare da protagonista nel processo, trasformando l’allarme in strategia condivisa. L’Ucraina ha bisogno di una pace che non sia una pausa; la Russia va misurata su fatti, non su promesse; gli Stati Uniti dovranno scegliere se guidare con i partner o correre in solitaria.
Il mondo guarda all’Alaska come a un banco di prova. O si apre un sentiero serio verso la fine della guerra, con garanzie concrete e confini rispettati, oppure si rischia un accordo fragile che rinvia il problema e logora la fiducia. Non basterà una stretta di mano né una data simbolica. Servirà un disegno coerente, la determinazione di sostenerlo nel tempo e la consapevolezza che, per questa volta, la pace non può essere una somma di concessioni: deve essere un progetto credibile di sicurezza per l’Ucraina, per l’Europa e per chi, da troppo tempo, vive sotto le bombe.
