
Umberto Galimberti ( Fonte Rai ) - ilvaporetto.com
Umberto Galimberti analizza il rapporto tra giovani e tecnologia, denunciando la perdita del contatto con la realtà e gli effetti psicologici dell’iperconnessione digitale.
Durante il suo intervento, Galimberti ha sostenuto che i social network e l’informazione tradizionale non raccontano la realtà, ma la ricostruiscono. Secondo il filosofo, viviamo in un flusso continuo di immagini e contenuti che non riflettono ciò che accade, ma ciò che vogliamo vedere. Questo meccanismo, ha detto, ha finito per sostituire l’esperienza concreta con la sua rappresentazione. “I ragazzi fanno le cose per poterle filmare, non per viverle”, ha spiegato, indicando una tendenza sempre più diffusa tra gli under 30: agire solo in funzione della condivisione. Una realtà che si esaurisce nella visibilità, dove il valore di ciò che si fa è misurato in like e visualizzazioni.
Nel frattempo, il confine tra vero e falso si sfuma. Galimberti ha descritto l’informazione contemporanea come un “magma fangoso” in cui è sempre più difficile distinguere ciò che è reale. L’emotività prevale sull’analisi, la viralità sulla verifica. Per il filosofo, la comunicazione non è più al servizio dei fatti, ma diventa essa stessa l’origine di un evento, costruendolo per renderlo notiziabile.
Smartphone, socialità e dipendenza psicologica
Nel corso della stessa trasmissione, Galimberti ha anche discusso il legame tra tecnologia e socializzazione nei più giovani. Ha raccontato di aver consigliato a una madre di consegnare lo smartphone al figlio in quarta elementare. “Non è solo uno strumento, è il canale attraverso cui oggi si entra nella vita sociale”, ha detto. Chi ne resta fuori, resta isolato.

La tecnologia, ha aggiunto, “non è più sotto controllo umano, ma detta le regole“. Non si può ignorare, ma serve capirla. E mentre gli adulti faticano a trovare un equilibrio, gli adolescenti sono esposti senza difese. Lo smartphone attiva lo stesso meccanismo neurologico delle dipendenze: la gratificazione immediata, la ricerca del “ping” della notifica, l’ansia di una risposta che non arriva. Tutto ciò genera ansia da connessione.
La cosiddetta sindrome FOMO – fear of missing out, ovvero la paura di essere tagliati fuori – porta i giovani a un comportamento ossessivo, fatto di aggiornamenti continui, controllo dei messaggi, perdita del sonno e calo della concentrazione. Non è un caso se l’OMS ha invitato a limitare l’uso degli smartphone sotto i 12 anni, e se paesi come la Francia hanno vietato i telefoni cellulari alle medie.
Dalla socialità fisica a quella digitale, ma più fragile
Nel confronto tra generazioni, Galimberti ha segnalato un cambiamento profondo: un tempo le relazioni passavano attraverso spazi fisici e tempi programmati. Oggi, sono immediate e costanti, ma anche più superficiali. “Un tempo si aspettava la sera per una telefonata, oggi ci si scrive 24 ore su 24 con messaggi vocali e storie da 15 secondi”. La comunicazione, secondo Galimberti, ha perso profondità.
Non è raro che un adolescente abbia centinaia di contatti eppure provi una solitudine costante. I legami si formano e si dissolvono rapidamente, alimentando insicurezze e dipendenza dallo sguardo altrui. “Il passaggio è stato epocale, ma nessuno ci ha insegnato come gestirlo”, ha aggiunto.
Galimberti non propone di tornare indietro, ma di costruire una cultura del digitale che aiuti i giovani a usare gli strumenti in modo consapevole. Progetti scolastici, educazione all’uso critico, esperienze collettive che valorizzino l’incontro reale: è questa, secondo lui, la direzione per evitare che la tecnologia si trasformi in una gabbia.
La sfida, insomma, non è abolire lo smartphone, ma rimettere l’umano al centro. Perché una generazione che cresce filtrando la realtà attraverso uno schermo rischia di perdere il contatto non solo con il mondo, ma con sé stessa.